Come noto, ai sensi del comma 1, n. 4 dell’ art. 1135 del codice civile, l’approvazione di opere di manutenzione straordinaria e delle innovazioni in ambito condominiale deve essere preventivamente autorizzata dall’assemblea che, contestualmente, è obbligatoriamente tenuta a provvedere alla costituzione di un fondo speciale di importo pari al valore dei lavori. La delibera di approvazione di tali lavori, secondo quanto previsto dall’art. 1136 c. 4, è valida se approvata con un numero di voti che rappresenti la metà dei condòmini intervenuti ed almeno la metà del valore dell’edificio.
Di recente, la suprema Corte di Cassazione, è stata chiamata in causa da una società proprietaria di alcuni locali siti al piano terra di un condominio, la quale, impugnando la Sentenza della Corte d’appello di Genova, chiedeva la restituzione di una somma pari a 86.460 €, versata a titolo di contributo, nella misura dei due terzi del totale. In particolare, la ricorrente, evidenziava l’assenza di una delibera definitiva di approvazione dei lavori di riparazioni straordinarie del passaggio pedonale di accesso ai portoni dell’edificio condominiale.
Il Tribunale di primo grado aveva accolto la richiesta della società riconoscendo che l’assemblea condominiale si fosse limitata ad affidare ad una Commissione Tecnica l’incarico di valutare ed approvare i lavori, stabilendo un tetto massimo di 150.000 euro e prevedendo, altresì, una serie di criteri da seguire, in un secondo momento, per la scelta della dell’impresa appaltatrice.
La Corte d’Appello, tuttavia, in accoglimento del ricorso proposto dal condominio soccombente, ribaltava la decisione in suo favore, evidenziando, in primo luogo. che la società, nel giudizio di primo grado, non avesse contestato l’approvazione dei lavori ma unicamente la ripartizione delle spese. Gli stessi giudici, inoltre, ritenevano esistente la delibera di approvazione dei lavori e che il criterio di riparto delle spese era quello previsto dal regolamento condominiale. A parer dei giudici, peraltro, il termine di 30 giorni previsto dell’articolo 1137 del codice civile per l’impugnazione della delibera assembleare annullabili era già decorso.
Avverso tale sentenza, la soccombente ricorreva dunque in Cassazione. Con il primo motivo di doglianza, lamentava la violazione e la falsa applicazione degli articoli 1362 e 1363 del codice civile, inerenti rispettivamente alla corretta interpretazione delle intenzioni dei contraenti ed alla valutazione complessiva delle clausole contrattuali.
Con il secondo motivo denunciava la violazione del comma 4 dell’art. 1135 del codice civile.
I Giudici della Seconda Sezione Civile, facendo riferimento ad un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, accoglievano il ricorso della società e con Sentenza n. 25839/2019 cassavano la decisione di secondo grado, rinviando ad altra Sezione della Corte d’Appello di Genova.
Nell’argomentare la propria decisione, gli Ermellini, evidenziavano che le delibere assembleari di approvazione di lavori di manutenzione straordinaria “…devono in ogni caso determinare chiaramente l’oggetto del contratto di appalto da stipulare con l’impresa prescelta, ovvero le opere da compiersi ed il prezzo dei lavori, non necessariamente specificando tutti i particolari dell’opera, ma comunque fissandone gli elementi costruttivi fondamentali, nella loro consistenza qualitativa e quantitativa. Sono, peraltro, ammissibili successive integrazioni della delibera di approvazione dei lavori, pure inizialmente indeterminata, sulla base di accertamenti tecnici da compiersi. Mentre l’autorizzazione assembleare di un’opera può reputarsi comprensiva di ogni altro lavoro intrinsecamente connesso nel preventivo approvato (arg. da Cass., Sez. 2, 20/04/2001, n. 5889)”.
Ciò posto, continuava la Corte, le delibere assembleari vanno interpretate secondo il criterio letterario e, soltanto nel caso in cui esso si appalesi insufficiente, facendo riferimento agli altri criteri interpretativi previsti dalla legge.
Alla luce di quanto argomentato, dunque, la decisione dell’assemblea non era configurabile come definitiva autorizzazione di affidamento dell’incarico posto che essa non individuava né l’impresa appaltatrice, né determinava l’oggetto del contratto ma si limitava ad affidare l’incarico ad una Commissione Tecnica per la valutazione dei lavori da eseguire. Ragion per cui, la società ricorrente, aveva ben ragione di ottenere la restituzione della somma versata.